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ENRICO FERRONETTI NEL MONDO DI MAGODELFIA (le avventure del bambino terrestre che riportò la libertà nel paese dei maghi)
Primo capitolo: UN TRAGICO EVENTO, UN BRUSCO CAMBIAMENTO
Il giorno che Enrico rivide il suo zio prediletto non fu certo in una piacevole circostanza.
Zio Alberto era il fratello minore di Olimpia, la mamma di Enrico, e di professione faceva il pittore. Da quando quattro anni prima aveva sposato Lidia, etologa specializzata in elefanti pigmei, i due vivevano assieme nella foresta tropicale del Borneo: da allora nessuno della famiglia era mai andato a trovarli e gli unici scambi di notizie avvenivano per telefono o tramite cartoline.
“La foresta del Borneo non è certo quello che si definisce un posto tranquillo e non è affatto adatta a un bambino come te”, ripeteva spesso la mamma di Enrico ogni volta che il piccolo le chiedeva di andare a trovare il grande zio Alberto, “zanzare furiose, coccodrilli voraci, serpenti velenosi, anaconda assassine, piante carnivore, sabbie mobili e piranha affamati: per le nostre vacanze sarà meglio continuare ad andare al lido di Ostia oppure a Fregene”.
Tutto sommato passare le vacanze a giocare in spiaggia con i figli dei vicini di ombrellone non era poi così male, del resto Ostia si raggiungeva in una sola mezz'ora di automobile partendo da Roma. Il Borneo, invece, Enrico non avrebbe nemmeno saputo localizzarlo sul mappamondo e sua mamma aveva di certo ragione a dire che recarsi laggiù non sarebbe stata una passeggiata: il viaggio era lungo, molto costoso e inoltre sarebbe stato anche opportuno vaccinarsi contro alcune malattie che si rischiavano di contrarre in quei luoghi esotici. Ad Enrico non rimaneva altro che fantasticare, figurandosi questo Borneo come una terra piena di foreste lussureggianti, corsi d'acqua placidi e all'improvviso impetuosi, animali multicolore liberi e selvaggi, indigeni seminudi con il corpo tatuato e un osso fra i capelli.
Dal Borneo in quegli anni erano arrivate diverse lettere di Alberto e Lidia, fotografie, cartoline di auguri, email e perfino molti regali. Nessuna delle foto mostrava però il paesaggio della foresta tropicale.
Appena saputo del mortale incidente d'auto accaduto alla sorella e al cognato, Alberto era immediatamente rientrato in Italia per badare a suo nipote di dieci anni, che non aveva altri parenti prossimi all'infuori di lui. La polizia stradale del Messico, dove i due coniugi si trovavano per un convegno di medicina, aveva detto che la loro macchina era sbandata sul ponte, rompendo il parapetto e precipitando in mare: i due passeggeri erano stati sbalzati fuori e i loro corpi non erano più stati ritrovati.-
Forza ragazzo mio,- gli disse Alberto con la sua voce salda e il suo volto rassicurante, che a Enrico ricordava tanto quello di sua madre Olimpia- ti porto via con me, verrai a vivere a casa nostra, assieme a Lidia: la zia ti sta già preparando la tua nuova cameretta con tanti giochi, sono sicura che sarà tutto di tuo gradimento.
- Mi porterai con te nel Borneo?- domandò il bambino incuriosito, dimenticando per un istante il dolore della morte dei suoi genitori e figurandosi nella sua nuova casa nella foresta pluviale con un cucciolo di tigre per animaletto domestico- Davvero? Il Borneo, è tanto tempo che sogno di andarci! Che lingua parlano laggiù?
- Ehm, a dire il vero non andiamo esattamente nel Borneo.- mugugnò Alberto mentre preparava sbrigativamente le valigie di Enrico- Andiamo in un un posto che sotto alcuni aspetti assomiglia un po' alla tua città, e sotto altri invece non gli assomiglia affatto, ma sono sicuro che ti piacerà.
- Non andiamo più nel Borneo?- esclamò il bambino con una certa nota di disappunto- Ma almeno andiamo là vicino? Potrò giocare con i cuccioli di elefante?
- In un certo senso.- Alberto appariva stranamente ambiguo, ambiguo e alquanto solerte a riempire le valigie il prima possibile, quasi come loro due fossero dei fuggiaschi che dovessero mettersi in salvo da chissà chi.
- E che lingua si parla dove stiamo andando?- Enrico non badava allo strano atteggiamento dello zio e continuava a rallentarlo con le sue domande.
- La tua, cioè la nostra lingua, d'altronde nell'aria ci sono le onde di traduzione universale,- Enrico credette di aver capito male- ma adesso non è il momento di discuterne fra noi due: corri pure a preparare anche tu la tua valigia e mettici dentro tutte le cose a cui tieni di più, i tuoi vestiti e i tuoi giocattoli più cari.
- Ma come hai detto che si chiama il posto?
- Si chiama, bè, diciamo che si chiama in maniera un po' diversa da quello che ho dichiarato ai funzionari statali che si occupano del tuo caso, ma tu adesso non pensare a queste cose e vai a prepararti, forza, fai in fretta: prometto che ti spiegherò tutto durante il viaggio.
Enrico decise di non fare altre domande a zio Alberto, si fidava di lui e sapeva che era sempre stato considerato l'eccentrico della famiglia. Non a caso viveva nel Borneo, o giù di lì.
Raccolse in fretta i suoi abiti e decise che avrebbe portato con sé il suo lettore mp3 nuovo di zecca, gli shanghai, un piccolo specchio concavo che entrava in una tasca dei pantaloni e pochi altri giochi: una volta che la valigia di Enrico fu ultimata, zio e nipote erano finalmente pronti a partire.
- Andiamo all'aeroporto?- domandò Enrico a suo zio.
- Aero che? Ah, si, l'aeroporto. No, non andiamo all'aeroporto. Dunque, c'è una cosa che ti devo dire: ti ricordi bene della zia Lidia, vero?
- Si, mi ricordo molto bene di lei. A Carnevale aveva sempre quel meraviglioso costume da maga che le invidiavano tutti, e faceva tante magie divertenti per noi bambini.
- Bene, ti ricordi ancora delle magie di zia Lidia: se ti piacevano quelle, allora vuol dire che siamo già a buon punto. Dunque, cosa vedi davanti da a te?
- Il muro della mia cameretta.- Enrico pensò che Alberto fosse diventato ancora più eccentrico da quando viveva nel Borneo.
- Ecco, allora guardalo bene adesso.- con la sua mano elegante Alberto disegnò nell'aria la sagoma di una porta e una porta azzurro cangiante si materializzò immediatamente sul muro: lo zio tirò a sé la maniglia di rame scintillante e prese per mano il nipotino dicendogli – Andiamo, si parte!
Enrico, con la bocca spalancata come una voragine, non ebbe il tempo di aggiungere alcuna parola. Alberto lo spinse giù per un lungo scivolo a spirale, uno scivolo color della notte illuminato da miriadi di lucciole, che pareva scendere all'infinito lungo il muro del palazzo.
Zio e nipote iniziarono insieme la loro discesa: campanule profumate tintinnavano magicamente ai bordi dello scivolo, stordendo ancor di più l'incredulo Enrico, mentre Alberto sembrava trovarsi perfettamente a suo agio in quella situazione, tanto da riuscire perfino a fischiettare qualcosa:- Tutto bene, nipote mio? Mi raccomando, reggiti forte, fra poco ti spiegherò tutto.
- Ma zio, cosa sta succedendo? Dove stiamo andando? Com'è possibile che accada tutto questo?- il bambino, colmo di stupore, cercava di aggrapparsi il più forte possibile al cappotto dello zio per evitare di cadere giù dallo scivolo o di urtare le mille lucciole. Ormai il Borneo non era più nei suoi pensieri: era evidente che, ovunque si stessero recando, le possibilità che Enrico al suo arrivo ricevesse in dono come animaletto domestico un cucciolo di drago o di unicorno erano nettamente superiori a quelle di ricevere un elefantino o un tigrotto della foresta.
Proseguendo la rapida discesa a spirale, e tenendo ben saldo a sé il piccolo, Alberto gli rispose:
- Vedi, Enrico, zia Lidia non si travestiva solo da maga, zia Lidia è una maga! Ed io, sposandola, sono diventato mago per un terzo di me. Ora ci stiamo recando a Magodelfia, il Paese dei Maghi, ed è un posto che si trova in una dimensione parallela non troppo lontana da quella terrestre. Dapprincipio forse ti sentirai un pò disorientato, ma poi vedrai che ti piacerà, ne sono sicuro.
- Ma zio, diventerò un mago anch'io?- domandò Enrico con la stessa fervida curiosità che in alcune rare circostanze accomuna adulti e bambini.
- Bè, diventeresti un mago soltanto se crescendo sposassi una fata, una strega o una maga. Ma vedrai che, anche se ciò non dovesse accadere, per te non sarà affatto un problema.
A Magodelfia ci sono tanti mestieri che può fare anche un non-mago. E poi, se il posto non ti piace, potrai sempre decidere di tornare sulla terra una volta adulto.
Alberto non fece in tempo a terminare la frase che la loro discesa sullo scivolo magico ebbe bruscamente termine: entrambi finirono scaraventati sul soffice letto della nuova cameretta di Enrico, spandendo per l'aria le mille piume dei cuscini che erano stati lì posizionati da Lidia per attutire dolcemente la loro caduta.
- Buongiorno, ben arrivati, benvenuto a Magodelfia.- disse Lidia sorridendo e scostandosi dal viso alcune piume- Come stai piccolo mio? Quanto sei cresciuto, sono anni che non ci vediamo, ti ricordi ancora di me?
Enrico riconobbe subito gli occhioni azzurri di zia Lidia, che sbucavano come due lanterne sotto la frangetta bionda, riccioluta e sempre spettinata: si, era proprio lei, l'unica maga che a quanto pare non aveva mai usato i suoi poteri magici per pettinarsi i capelli in maniera ordinata. Lei e Alberto erano davvero una coppia fantastica. Senza ancora riuscire a rispondere, Enrico si guardò attorno, sempre più stordito: forse tutto quello che era accaduto lo stava solo sognando.
- Va tutto bene, Enrico?- domandò Alberto sedendosi accanto a lui.
- Mi sento un po' frastornato,- rispose il bambino, sforzandosi di accennare un sorriso per non mortificare gli zii- mi sembra tutto così incredibile, ancora non riesco a rendermi conto di dove mi trovi davvero.
- Direi che è più che normale,- continuò Lidia- anche tuo zio Alberto ebbe una reazione simile quando venne qui da noi per la prima volta a conoscere la mia famiglia. Decise subito di inventarsi quella storia del Borneo.
- Quaggiù sembra tutto così diverso, quasi irreale.- disse ancora Enrico guardando fuori dalla finestra e osservando il paesaggio magodelfiano fatto di colori ed elementi per lui così insoliti.
- A Magodelfia dapprincipio tutto ti sembrerà diverso dalla terra,- lo rassicurò dolcemente Lidia- ma poi ti renderai conto che la diversità è soltanto apparente. Certo, l'asfalto delle nostre strade è azzurro, e non è nemmeno corretto chiamarlo asfalto in quanto è polvere di stelle comete mista a una materia che assomiglia al vostro pongo; le chiome degli alberi sono in prevalenza di un rosa cangiante e le nuvole del cielo sono verdi come i gambi di papaveri che usiamo per le nostre pozioni quotidiane. Il carattere dei maghi, però, è pressoché identico a quello degli esseri umani: stessi innumerevoli difetti, stessi minimi pregi. E lo stesso può dirsi anche per le fate, le streghe, gli elfi, i folletti e gli stregoni.
Enrico rimase qualche altro secondo in silenzio a cercare di elaborare con la sua fantasia tutte le informazioni ricevute e poi disse:
- Però almeno qui a Magodelfia, grazie alla vostra magia, non avrete certo tutti i problemi che invece abbiamo noi sulla terra. Niente guerra, malattie, ingiustizie, ignoranza e povertà: non è forse così?
- Oh, no, affatto.- rispose prontamente Lidia, sospirando- Purtroppo anche noi conosciamo gli stessi mali che affliggono voi terrestri. La magia non è in grado di risolvere tutti i nostri problemi, e mai lo sarà.- Enrico avvertì un pizzico di delusione- A Magodelfia inoltre,- proseguì Lidia- esistono anche molte persone capaci di scagliare temibili malefici da cui non è facile imparare a difendersi. La magia malefica è molto pericolosa ed è una continua fonte di dolori e sciagure.
Enrico decise che non era il caso di concentrarsi proprio adesso su tutte le brutture che gli potevano capitare a Magodelfia, così cambiando drasticamente argomento domandò a Lidia:- Anche a Magodelfia esiste la scuola?
- Certamente.- rispose Lidia- Anche qui i bambini e i ragazzi vanno a scuola, e poi, se è loro concesso, possono iscriversi all'università, dove studiano e si specializzano in diversi settori: ingegneria magica, medicina magica, filosofia magica, biologia magica, lettere magiche, matematica magica, alchimia e giurisprudenza.
- Che significa “se è loro concesso”?- domandò il bambino.
- Significa… significa che ...- Lidia si interruppe, faceva come fatica a trovare le parole giuste, e il suo sguardo si incupì lievemente: come poteva spiegare al suo nipotino appena giunto a Magodelfia che tutto il paese si trovava da secoli sotto una strisciante dittatura?- significa che le leggi imposte dagli Omnibus prevedono che una Commissione speciale autorizzi solo alcuni studenti a frequentare anche l' “Università Migliore”.- disse in maniera frettolosa- Non tutti possono accedervi liberamente. I figli delle famiglie che appoggiano gli Omnibus sono sempre ammessi: tutti gli altri che fanno domanda, invece, possono anche sentirsi dire che i posti sono già tutti pieni, e accade sempre così.- una lacrima le scese sul volto, poiché tanti anni prima fu proprio la Commissione a proibirle di accedere alla facoltà di Medicina magica: Lidia avrebbe tanto voluto diventare un medico per curare gratuitamente i poveri di Magodelfia, ma purtroppo la Commissione decise che la figlia di un vecchio artigiano di scope magiche non fosse destinata ad esercitare la nobile professione della Medicina. Il padre di Lidia non aveva mai sostenuto la dittatura.
- Gli Omnibus?- fece Enrico sobbalzando al suono di quel nome così inquietante- E chi caspita sono? E poi per quale motivo decidono loro chi può andare all'università e chi no?
- Adesso non è il momento di parlarne, - tagliò corto Alberto, senza lasciare a Lidia il tempo di rispondere- ti racconterò di loro più in là. Riguardo a quello che stava dicendo Lidia, sappi che, prima o dopo la laurea, anche da noi ognuno deve scegliersi un mestiere per vivere, a meno che non sia di famiglia benestante, tanto benestante da non aver bisogno di lavorare. Anche da noi ci sono i ricchi e i poveri, proprio come sulla terra- Enrico lo guardava perplesso, incominciando ad avvertire una certa delusione al pensiero che Magodelfia iniziasse a sembrargli un po' troppo simile alla terra. Alberto proseguì- Anche da noi si commettono delle ingiustizie. Anche da noi esistono i buoni, i cattivi, i codardi, gli indifferenti, gli onesti e i valorosi: vorremmo tutti che la magia potesse trasformare i cattivi in buoni, ma non è possibile.
- Ora però basta parlare di queste cose,- lo interruppe Lidia- oppure finiremo per annoiarlo. Adesso, Enrico, sistema pure la tua roba, dopodiché zio Alberto ed io ti accompagneremo a visitare la tua nuova scuola.- Lidia sorrise al bambino e gli carezzò i folti capelli scuri- Sai, io e tuo zio non abbiamo figli, mi fa molto piacere che tu sia qui.- Enrico percepiva che le sue parole erano sincere e pian piano iniziava a sentirsi più a suo agio in quella sua nuova cameretta, in quel suo nuovo letto e in quella nuova dimensione parallela.
- Abbiamo pensato che forse ti saresti sentito meno solo e spaesato se avessi avuto da subito un piccolo amico al tuo fianco.- disse zio Alberto sollevando da terra un lembo della coperta del letto- Guarda un po' chi c'è qui sotto.
Enrico si chinò a guardare e vide che da sotto le coperte faceva capolino un piccolo drago verde mela: si era avverato quello che il bambino aveva solo osato immaginare nei suoi sogni più fantastici.
- Ciao,- gli disse il draghetto con disinvoltura- io sono Armando.- ai due bastò un'occhiata per trovarsi reciprocamente simpatici.
- Ciao, io sono Enrico. Tu sei un drago sputafuoco?
- Vorrei esserlo, ma per ora quando tossisco sputo solo margherite o altri fiori, a seconda dell'umore. Se sono arrabbiato invece sputo cactus. Comunque so già diventare invisibile, ed è una delle cose che mi riescono meglio.
- Ma è normale che qui a Magodelfia gli animali parlino?- domandò Enrico.
- Oh si,- rispose Lidia- qui a Magodelfia è più che normale che tutti gli animali parlino, ma purtroppo ciò non impedisce a molti di noi di considerarli come degli esseri inferiori.
Il bambino guardò di nuovo fuori dalla finestra e osservò gli alberi del piccolo giardino che circondava la casa: vicino al balcone della sua cameretta c'erano due meravigliosi pini turchesi che si innalzavano rigogliosi fino ad intrecciare le loro chiome, lasciando che scoiattoli e uccellini trovassero rifugio fra i loro morbidi aghi colorati.
Lidia si accorse che il bambino stava osservando i pini e gli disse:- Ieri sera non c'erano, sono apparsi qui solo stamattina: sai, a Magodelfia è normale che alberi e piante decidano essi stessi dove dimorare. Un giorno possono trovarsi in un giardino, il giorno dopo in un altro e il successivo in un altro ancora. E' una loro consuetudine scegliere di radicarsi dove più desiderino.
- Però,- fece Enrico guardandosi intorno- lo sapete che ora mi sento già un po' più a casa?- zio Alberto e zia Lidia lo abbracciarono con grande affetto, mentre il draghetto Armando riempì tutta la stanza di profumatissime margherite gialle.
I giorni che Enrico si apprestava a trascorrere a Magodelfia sarebbero stati fra i più belli e indimenticabili della sua vita. La permanenza del piccolo terrestre avrebbe portato gioia e libertà a tutti i magodelfiani. In quel momento, però, nessuno dei presenti, compreso Enrico, avrebbe mai potuto indovinare quale fosse il vero motivo della sua misteriosa chiamata nel paese dei maghi.
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Ciao Arianna,
ti scrivo da parte dei miei gemellini che mi chiedono il seguito di questa bellissima storia. Quando pubblicherai gli altri capitoli? E soprattutto, ci sono già?
Complimenti per le tue storie, ti auguro di trovare presto un editore per vederle illustrate,
Gina, Tivoli