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"Se volete figli intelligenti leggete loro le fiabe. Se volete figli molto intelligenti leggete loro molte fiabe." Albert Einstein
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Ecco la favola richiesta da Licia, maestra di Cabras, Sardegna, per avvicinare i suoi allievi al mondo dei Fenici, anticamente insediatisi anche vicino la stessa Cabras e in molte altre località dell'isola (oltre che del resto del Mediterraneo!). Buona lettura e ancora grazie a Licia per lo spunto che ci ha fornito.
Antonio e i Fenici
Una bella mattinata di Novembre a Cabras, in Sardegna, i bambini di una scuola elementare si recavano a visitare il museo archeologico accompagnati dalle loro maestre. Nei giorni precedenti le insegnanti avevano spiegato loro come molti secoli prima, proprio nei pressi di Cabras, sorgesse uno dei più importanti insediamenti fenici di tutta la Sardegna, ovvero l'antica città di Tharros. Tutti gli scolari erano molto curiosi di visitare il museo e di vedere i reperti dell'antica città fenicia. - Allora, bambini, venite tutti qui,- disse la maestra Anna- volete ascoltare due parole su quelli che furono una parte dei nostri antenati?- i bambini dissero “si” in coro e si avvicinarono alla maestra, che iniziò a raccontare con voce salda e forte- L'antica città di Tharros fu fondata dai Fenici nell'ottavo secolo avanti Cristo, cioè vuol dire settecento anni prima della nascita di Gesù Cristo, che è fissata nell'anno zero. Antonio, tu lo sai quando sei nato?- Antonio, che era uno dei bambini più vivaci della classe e non stava mai fermo, fece di no con la testa- Allora te lo dirò io, tu sei nato nel 2002, cioè duemila e due anni dopo la nascita di Gesù Cristo, sei nato nel 2002 dopo Cristo. Ora torniamo indietro di tanti e tanti anni, torniamo indietro di secoli e arriviamo all'incirca all'ottavo secolo prima della nascita di Cristo. Siamo sempre qui da noi, in Sardegna, vicino Cabras, in una città che si chiama Tharros. Tharros era un importante insediamento fenicio. E chi sono questi fenici? I Fenici erano un popolo molto antico, un popolo di navigatori e di mercanti, venivano da una terra chiamata Fenicia e che oggi è l'attuale stato del Libano.- disse la maestra indicando la posizione del Libano sulla cartina geografica- I Fenici hanno navigato in lungo e largo per il nostro mare Mediterraneo e hanno fondato diverse città prevalentemente sulle coste del Libano, del Nord Africa e dell'Italia. - Come mai oggi non ci sono più?- domandò la piccola Isabella. - Non ci sono più perchè nel corso del tempo sono arrivate altre popolazioni che hanno preso il sopravvento, come ad esempio gli antichi Romani.- rispose la maestra Anna. - Se erano dei mercanti, che cosa vendevano?- domandò Giovanni. - Vendevano prevalentemente tessuti, porpora, oggetti di vetro e metallo lavorato, olio e legname. Il cedro del Libano era un ottimo legno per fabbricare le loro imbarcazioni. Ah, non ve l'ho ancora detto, spesso i Fenici sono stati anche dei pirati. - Pirati?- disse di nuovo Giovanni- Ed erano cattivi? - Bè,- rispose la maestra- erano cattivi come qualsiasi pirata dell'epoca o, per meglio dire, erano cattivi come tutti i delinquenti di ogni epoca. I bambini ascoltavano interessati, tutti tranne uno: l'attenzione di Antonio era stata catturata da un gattino senza coda che era sbucato all'improvviso da un'anfora antica. Antonio adorava gli animali, un po' meno la storia antica, e così lasciò perdere i racconti su Tharros e i Fenici e si mise a seguire il gattino. Di certo Antonio ignorava che il gatto senza coda fosse un felino di razza Manx, una razza diffusa in passato anche presso gli stessi Fenici, che li commerciavano e li utilizzavano per scacciare i topi sulle loro navi. Il piccolo animale imboccò un corridoio del museo dove c'era un cartello con su scritto “VIETATO OLTREPASSARE”, ma Antonio non lo lesse neppure e continuò a seguire il gatto. Quest'ultimo ogni tanto si voltava e sembrava quasi fare l'occhiolino al bambino, proprio come se volesse dirgli “seguimi”. Salirono un piano di scale, oltrepassarono un altro corridoio, salirono un altro piano di scale e alla fine oltrepassarono una porta su cui c'era scritto “SEVERAMENTE VIETATO ENTRARE”. Antonio non si era accorto di essere finito nella soffitta pericolante del museo archeologico. Il gatto si voltò verso di lui e poi balzò all'interno di una grande anfora impolverata. Antonio pensò che finalmente sarebbe riuscito ad acciuffarlo e così infilò un braccio nell'anfora, che però sembrava essere più profonda del previsto, allora vi si chinò anche con il busto, poi si spinse un po' di più sollevando i piedi da terra e, senza che riuscisse ad evitarlo, vi cadde dentro con tutto il corpo e accadde l'impensabile: anziché toccare subito il fondo dell'anfora Antonio iniziò a sprofondare nel vuoto. - Aiuto, santo cielo dove sono capitato, aiuto, qualcuno mi aiuti!- gridò il bambino mentre precipitava nel buio- Signore, prometto che non lascerò mai più la maestra per seguire un gatto, ti prego aiutamiiiiiiiii...-all'improvviso la caduta finì con un tuffo in un mare caldo e turchese. Antonio si ritrovò immerso dalla testa ai piedi, ma per fortuna l'acqua non era alta nemmeno un metro e la riva era in bella vista.- Ma dove sono capitato?- si chiese Antonio guardandosi intorno mentre riemergeva dall'acqua. Al di là del comprensibile stupore per quanto gli era appena accaduto, Antonio avvertì una sensazione di tranquillità poiché la spiaggia gli era molto familiare, anzi, gli pareva quasi di conoscerla da sempre. - Elibaal, vieni qui, Elibaal, presto!- una voce di donna giunse all'orecchio di Antonio- C'è un bambino in mare, presto, andiamo ad aiutarlo, forse è scampato all'attacco dei pirati.- Antonio capì che parlavano di lui quando la donna dalla pelle olivastra lo raggiunse, lo aiutò ad uscire dall'acqua e lo fece sedere sulla sabbia- Come stai, piccolo mio?- gli domandò lei sorridendo- Io sono Jezabel e lui è mio figlio Elibaal, tu come ti chiami? Antonio, stordito ma rassicurato, le rispose: - Io mi chiamo Antonio. Dove siamo? - Ma come “dove siamo”?- disse il figlio della donna- Siamo a Tharros! Come fai a non saperlo?- Antonio sgranò gli occhi- Tu piuttosto da dove vieni? Perchè sei vestito così? - Elibaal,- disse Jezabel- smettila di fargli tutte queste domande, non vedi che è esausto e sconvolto? Portiamolo in casa e aiutiamolo a cambiarsi e ad asciugarsi.- Antonio venne fatto accomodare in una piccola casa di mattoni di argilla cotta; Jezabel gli offrì una manciata di lenticchie e di verdure condite con un filo di olio d'oliva- Tieni, sarai affamato.- Antonio non era affamato, ma gli sembrava scortese rifiutare, e così ingoiò un boccone di legumi. Non erano poi così male, anzi.- Allora, piccolino, da dove arrivi? - Non credereste mai da dove arrivo, io arrivo da … arrivo da ...- Antonio pensò che, se avesse raccontato loro la verità, non solo non gli avrebbero mai creduto ma lo avrebbero anche preso per pazzo. Fu così che disse soltanto- Io arrivo da molto lontano. Il mio nome è Antonio. - Come sei finito in mare?- gli domandò Elibaal- Ti avevano forse catturato dei pirati? - Si, sono stati proprio i pirati.- rispose lui, mentendo per necessità- Mi hanno rapito nel mio villaggio e mi hanno buttato in mare stamattina. Poi la corrente mi ha trascinato fin qui. - I pirati sono sbarcati a Tharros proprio ieri,- disse Jezabel- ma io e mio figlio ci siamo salvati. Io ed Elibaal eravamo sulla collina a portare al pascolo le pecore e da lontano abbiamo visto tutto: hanno saccheggiato, ucciso e depredato. E' stato orribile. - Quaggiù accade spesso che arrivino i pirati?- domandò Antonio impaurito. - No,- rispose Jezabel- non accade spesso, ma purtroppo accade. Se vivi sulla costa devi fare i conti con eventi di questo tipo. - Mamma,- disse Elibaal- cosa ha Antonio nella sua strana bisaccia?- la “strana bisaccia” altro non era che il piccolo zaino di cuoio che Antonio aveva con sé. -Non fare domande impertinenti,- rispose Jezabel- piuttosto prestagli una delle tue tuniche e aiutalo a stendere al sole i suoi strani abiti. E' chiaro che arriva da un villaggio lontano ed è ancora impaurito dall'esperienza che ha vissuto. Forse i pirati hanno ucciso la sua famiglia. E' andata così Antonio?- il bambino, mentendo di nuovo, fece di si con la testa. Un'ora dopo era vestito come un piccolo fenicio e camminava per le vie di Tharros lastricate di basalto scuro. Il suo nuovo amico Elibaal gli faceva da guida e gli mostrava con entusiasmo ogni particolare della cittadina fenicia:- Guarda, quello laggiù è il porto dove salpano e attraccano le navi cariche di merci. Quelle lì sono le botteghe artigiane, ci lavorano il vetro e i metalli. Sai che mio nonno era un orafo molto abile? Lavorava l'oro e gli altri metalli facendoli diventare dei gioielli molto belli. Mio padre invece era uno dei marinai migliori di tutta Tharros. Guarda invece laggiù, lì ci lavorano la porpora, invece quegli altri uomini che vedi vicino alle navi e che scaricano merci sono dei mercanti molto ricchi, mercanti che hanno visitato tutto il mondo con le nostre formidabili navi. - Ricchi? Quanto ricchi?- Antonio non riusciva a confrontare la ricchezza di oggi con la ricchezza di allora. - Tanto ricchi da avere un pozzo nel cortile di casa,- rispose Elibaal- tanto ricchi da avere alcuni schiavi come servitori. - Schiavi?- disse sbalordito Antonio- Ma è orribile! Qui da voi ci sono gli schiavi? - Certamente. Perchè ti stupisci? Devi arrivare davvero da molto lontano per non sapere che qui da noi ci sono gli schiavi. - Vengo da pochi chilomentri da qui, vengo da Cabras, ma vengo anche dal 2010 dopo Cristo ...- sospirò Antonio a bassissima voce. - Cosa hai detto? - Nulla, nulla, lascia stare. Ci sono altre cose da vedere? - Si, posso portarti a vedere il tofet. - Il tofet? - Si, il tofet. E' uno spazio all'aperto dove si tengono le cerimonie religiose e i sacrifici. - Sa .. sacrifici?- balbettò Antonio- Sacrifici di animali? Ogni tanto ci sgozzate qualche vitello? - Sacrifici umani, anche di bambini.- rispose Elibaal. Antonio deglutì.- Vieni, ti porto a vedere il tofet. So che fra poco celebreranno il sacrificio di un primogenito in onore al dio Baal Hammon. - Io non voglio venire a vedere l'uccisione di un neonato,- disse Antonio- è una cosa orribile e crudele.- - E' il dio che lo vuole, so che è una cosa difficile da accettare e da comprendere per uno straniero come te, ma i nostri sacerdoti ci hanno detto che è giusto così. - I vostri sacerdoti vi hanno convinto che uccidere un bambino potrà rendere felice il vostro dio? Non vi è venuto in mente che i vostri sacerdoti possano sbagliarsi? Non vi è venuto in mente neanche per un solo istante che così facendo vi rendete complici dell'omicidio di un innocente? E se avessero sacrificato tuo fratello al dio Baal? Ti sarebbe forse parso giusto? - Noi non ci permettiamo di mettere in discussione quello che dicono i nostri sacerdoti.- disse Elibaal facendosi scuro in volto.- E poi, anche se volessimo ribellarci, rischieremmo di essere messi a morte. Ora seguimi al tofet, non entreremo nell'area sacra, guarderemo tutto dall'alto, arrampicati su un albero i cui rami sono abbastanza forti per sostenerci. Elibaal lo prese per mano e lo condusse al tofet, dove era già riunita una folla di persone. I due bambini salirono sull'albero senza che nessuno dei presenti badasse a loro, poiché l'attenzione di tutti era rivolta verso il sacerdote che si apprestava ad eseguire il rito. Antonio era riuscito ad arrampicarsi sull'albero nonostante avesse il suo zainetto sulle spalle: dall'alto, ben nascosto dalle fronde, poteva osservare e scrutare ogni cosa. - Chi è quella donna che singhiozza?- domandò ad Elibaal, indicando una donna accasciata in terra. - Quella donna è Atalia, la madre del bambino che si apprestano a sacrificare a Baal Hammon.- gli rispose Elibaal.- all'improvviso la donna si alzò con impeto da terra e fece per dirigersi verso l'altare, ma un uomo la bloccò e lei scoppiò in un pianto disperato.- Non vuole che uccidano suo figlio in onore al dio, ma non può certo opporsi al volere di Baal Hammon e a quello dei sacerdoti. - Lei no, ma io si!- Antonio non ci pensò su due volte ed aprì lo zaino che quella mattina aveva portato al museo. Nello zaino non c'erano certo libri di scuola, bensì alcuni dei suoi giochi. Prima estrasse uno specchietto e poi un piccolo megafono. Con lo specchietto direzionò il sole sugli occhi del sacerdote che stava per sgozzare il bambino e così gli impedì momentaneamente di portare a termine l'operazione. - Chi si permette di prendersi gioco di me?- tuonò allora il sacerdote che non riusciva a capire chi gli stesse giocando quello scherzo- Devo forse ordinare di metterlo a morte? Antonio aveva già impugnato il megafono e attraverso questo urlò a squarciagola: - Sono il tuo dio, e ti ordino di fermarti!- nessuno dei presenti aveva mai udito un suono simile- Vuoi forse ignorare la volontà di Baal Hammon?- così dicendo aprì un barattolo dove teneva alcuni mortaretti e li buttò per terra. Nessuno conosceva ancora la polvere da sparo e così quei piccoli fuochi d'artificio vennero subito attribuiti all'opera del dio Baal Hammon. - Perdonami, mio dio!- singhiozzò il sacerdote, impaurito come un vitello al macello- Ti ascolto ed eseguirò solo la tua volontà! - Allora io ti dico che la mia volontà è quella di interrompere per sempre i sacrifici umani!- disse Antonio- Ed ora tutti abbandonate subito il tofet o scaglierò i miei fulmini su di voi. Elibaal era pietrificato dallo stupore e ormai aveva capito che Antonio gli aveva nascosto qualcosa in merito alla sua vera identità. La folla abbandonò immediatamente l'area del tofet e rimasero soltanto la donna e il neonato destinato al sacrificio. La donna era corsa immediatamente a riabbracciare il figlio. Antonio disse ad Elibaal che era meglio scendere e darsela a gambe. Appena i loro piedi toccarono terra, la donna li scorse e disse ad Antonio:- Bambino, aspettami! Io sono Atalia, ho visto quello che hai appena fatto per mio figlio e sarò tua debitrice per la vita. Grazie.- così dicendo li raggiunse, si tolse la collana che portava e la mise al collo di Antonio- Questa portala in dono alla donna che ti ha dato la vita.- Antonio sorrise a lei e al bambino, ripose la collana nello zaino e poi corse via assieme ad Elibaal. Una volta giunti a casa raccontarono ogni cosa a Jezabel. - Antonio,- le disse lei- ma da dove vieni veramente? - Io vengo dal futuo, vengo da Cabras, dal 2010 dopo Cristo.
- "2010dopocristo"? E dove si troverebbe questo posto? - Lasciamo stare, è una lunga storia, io però vengo davvero dal futuro e non so proprio come riuscirò a tornarci. Voi mi avete aiutato tanto, ma io a Cabras ho lasciato la mia famiglia e mi manca infinitamente.- mentre Antonio pronunciava queste ultime parole comparve sulla soglia di casa il gatto senza coda che aveva visto al museo di Cabras- E' lui!- esclamò Antonio- E' il gatto che mi ha portato fin qui! Forse può riportarmi nel futuro, devo seguirlo. Jezabel, Elibaal, vi ringrazio tanto per esservi presi cura di me, ma ora devo andare. Dopo aver abbracciato la madre e suo figlio per salutarli, Antonio si mise a rincorrere il gatto. Il felino lo condusse fino a un albero dal tronco cavo. Il gatto saltò nel tronco e Antonio fece lo stesso, sperando che accadesse quello che era accaduto con l'anfora del museo. Dopo un volo di alcuni metri in quello che da fuori sembrava essere soltanto un tronco cavo, Antonio piombò con un gran tonfo sul pavimento della soffitta del museo di Cabras, accanto all'anfora che lo aveva risucchiato indietro nel tempo. Come per magia indossava gli stessi vestiti con cui era partito e non c'era più traccia della tunica fenicia. Dopo pochi secondi arrivò di corsa la maestra Anna: - Antonio, finalmente ti abbiamo trovato, ci hai fatto prendere uno spavento! Ma dove eri finito? Almeno stai bene?- Antonio fece di si con la testa- Su, vieni qui, ti aiuto ad alzarti. - Da quanto tempo mi cercate?- mormorò lui frastornato. - Ti cerchiamo da un quarto d'ora, ovvero da quando sei sparito rincorrendo il gatto, ce lo hanno detto gli altri bambini. Antonio pensò che se era sparito solo da quindici minuti forse il viaggio nel tempo era stato soltanto un sogno. Ovviamente non disse nulla alla maestra riguardo a Tharros, si prese da lei il giusto rimprovero e rimase in silenzio. Appena usciti dal museo, Antonio sentì il bisogno di soffiarsi il naso e così cercò nel suo zainetto di cuoio il paccchetto di fazzoletti. Lo trovò, ma era fradicio, come se lo zaino fosse finito in acqua. Poi le sue dita sfiorarono un oggetto che Antonio non ricordava proprio di aver messo nello zaino: una collana di metallo, una collana che sembrava molto antica. - E' la collana di Atalia,- disse fra sè- allora non è stato un sogno! Quando tornò a casa da sua madre, lei gli domandò:- Allora piccolo mio, cosa hai imparato oggi al museo? - Oggi ho imparato chi sono i Fenici e poi imparato anche a non seguire mai più i gatti senza coda. La mamma pensò che Antonio stesse solo scherzando, così non gli fece altre domande e lo invitò a sedersi a tavola perchè si era fatta ora di pranzo. una favola di Arianna Lana
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